PEPOTE

MiTioJacintoitalianokdpDopo «Marcellino Pane e Vino», il soave racconto che ha riscosso il più ampio favore del pubblico, presento con piacere la traduzione di questo delizioso romanzo di Andrés Laszlo. Pepote, che è un’alterazione graziosa e familiare di a Pepe», corrispondente al nostro Peppino o Peppuccio, ha nel testo originale spagnolo il titolo «Mi tio Jacinto», cioè «Mio zio Giacinto». Giacinto e Pepote, rispettivamente zio e nipote, sono i protagonisti dell’originale racconto il quale, anche se ha per autore un ungherese, è stato scritto in un castigliano perfetto e rispecchia in piena fedeltà sentimenti, ambiente, folclore spagnoli, onde a buon diritto può essere compreso tra le opere più significative della letteratura narrativa della Spagna d'oggi. Leggi la parte del libro

È la tragedia di un torero mancato, che non è stato mai una celebrità e mai un fallito, ma che è semplice- mente scomparso, piombando, senza che nessuno se ne accorga, dal firmamento dei trionfi sognati, nel pantano della miseria. Una tragedia che non ha nulla di clamoroso ed è più che frequente tra i toreri.

Il tema era già stato accennato dal Laszlo in «Solo el Paisaje Cambia», che è una serie di racconti, ventuno in tutto, ciascuno dei quali ha, per titolo, una città. Ventuno città, delle più svariate parti del mondo, disposte in ordine alfabetico: da Avita, Budapest, Cannes,... a Londra, Madrid, Napoli... Upsala, Venezia e Z. (una città che preferisce indicare solo con Viniziale). Nel racconto intitolato «Madrid», ci incontriamo appunto con un ex-torero, un Giacinto che aspirò alla celebrità ed ora abita in una squallida baracca alla periferia della capitale spagnola, disoccupato e malaticcio, strappando come può la giornata e soffocando nel vino la sua immensa tristezza.

In «Mi tio Jacinto», però, il tema è sviluppato ed ampliato ed entra in scena l’altro personaggio: il nipotino Pepote. La squallida esistenza del torero si illumina improvvisamente del sorriso e degli occhi di questo fanciullo.

Lottano entrambi per liberarsi dalle maglie della miseria, ma è una lotta che non ha la sua ragione d'essere nel fallimento e nella disperazione, bensì nell'amore reciproco di zio e nipote. Pepote riunisce, per Giacinto, gli ideali più puri e più fascinosi e ne è avvinto immensamente più di quanto lo avvincessero, in altri tempi, le glorie e i trionfi delle arene. E l'insuccesso del torero, si tramuta in una grande vittoria dell'uomo

Andrés Laszlo nacque il 26 gennaio 1910 a Szinna, città allora appartenente all’impero austro-ungarico. Successivamente passata ad altri, oggi Szinna è ancora contesa e non si sa a quale stato attualmente appartenga.

Le travagliate peregrinazioni di questa città sembra abbiano influito decisivamente sulla sensibilità, sul temperamento , stilla cultura dell’uomo e dello scrittore. Nomade, irrequieto, assetato di ideali e di infinito, Andrés Laszlo vagò per il mondo dello spirito e per gran parte del mondo geografico. Dopo Ungheria, la Romania e la Slovacchia, egli è vissuto fino al presente in ben diciotto Paesi.

La sua fantasia spazia dapprima nei campi fertili della storia dell'arte, e gli inizi sono estremamente difficili per lo scrittore errante che è costretto a lavorar sodo per sbarcare il lunario. È in queste condizioni che il Laszlo esordisce con i primi studi sui maestri della pittura spagnola: Goya, Zurbaran, Velasquez; studi salutati con misurato ottimismo dalla critica.

L'evoluzione psichica dello studioso e del critico di arte è lenta ma precisa; e Laszlo orienta ancora tutta la sua sensibilità verso la perfezione estetica, riuscendo a pubblicare una vasta opera di sintesi sul grande avventuriero dell'arte pittorica spagnola, Francisco Goya.

Poi sente che la pittura non lo soddisfa più interamente, e riesce a liberarsi dal suo fascino magico.

Fa tesoro delle esperienze acquisite nel corso della sua vita movimentata e le trasfonde in romanzi e in racconti densi di azione, di passione, di colori vivaci, di osservazioni realiste. «Château des phoques» (Il Castello delle foche) che è una evocazione del suo paese natale e ci rivela un Laszlo umorista e di fervida immaginazione — apre la serie di queste opere che si susseguono quasi senza interruzione e con crescente successo. «Rhapsodie d’écrevisses» (Rapsodia di gamberi): descrizione pittoresca della vita parigina, di quella Parigi turistica e monumentale, soprattutto dove pullulano i «cabarets» notturni, nei quali artisti più o meno autentici muoiono eroicamente di fame. «Dona Juana - Don Juan - Juan y Juanito», nel quale sono contenute tutte le versioni immaginabili della vecchia favola del «conquistatore» Don Giovanni. «La où les vents s’endorment» (Dove dormono i venti), che ha per scenario Tangeri, col suo turbine di intrighi e di traffici, ed è forse il romanzo di Laszlo che ha suscitato più ampie discussioni di critica.

La più recente produzione letteraria di Laszlo è improntata a una più intima e profonda intuizione della natura umana. 1 suoi personaggi, siano essi ambientati in una ristretta cornice o si muovano in scenari di vasto panorama cosmopolita, si presentano ai nostri occhi attraverso la narrazione serrata ed avvincente, a volte ricca di sconcertante realismo, come fotografie nostre o di amici nostri, immagini insomma di gente che sembra appartenerci. Cosi in «Solo el Paisaje Cambia» e, soprattutto, in «Mi Tio Jacinto».

Qui lo stile di Andrés Laszlo si fa estremamente conciso, scevro di retorica e di lirismi. Situazioni, scene, vili personaggi balzano vivificati dalla profonda umanità dello scrittore e diventano lezioni di vita.

Il segreto del successo di Laszlo è tutto in questa sua umanità e in quella delle sue creature. E noi ci sentiamo avvinti dalla spontaneità dei movimenti, dalla impressionante vivezza di volti e di caratteri, dalla prestigiosa e insieme semplicissima narrazione dei fatti che ora ci rallegrano y ora ci commuovono, ma sempre inculcano in noi nobili sentimenti.

Roma, 25 marzo 1956.

Erminio Polidori